Nicola Ferrari (Mantova), vive accanto ai bambini e alle persone in lutto.
Si occupa, riguardo l'esperienza della perdita, di formazione, ricerca e nuove metodologie di supporto (mariabianchi.it).
E' estremamente appassionato di J.S. Bach, Glenn Gould, Emily Dickinson, Vincent van Gogh.
Scrive, pubblica.


Occhi


L’ho visto: quattro ore di strada in macchina, la schiena che sembra mi si spezzi in due, un freddo della madonna ma l’ho visto.
E’ grigio, alto alto e secco, quasi intatto. E’ allucinato, magrissimo, piegato in avanti, mi ricorda Don Chisciotte. Il palo della luce è semi sfondato. Sfasciato ad un metro da terra, ha tutti i segni dello scontro violentissimo: vedo i vetri intorno, i resti del parabrezza della macchina, pezzi del motore ancora fumante, sento l’odore della benzina, del fumo, della gente che muore.
Non è vero. 
Intorno non c’è niente, solo un pezzo di carta appiccicata al palo con lo scotch da muratore, quello marrone chiaro, spesso, due euro per trenta metri. C’è scritto: ‘Pericolo – non avvicinarsi - struttura instabile’.
Quando sono arrivato, l’ho visto da lontano, quando sono arrivato, ho immaginato i tuoi occhi.
Non lo sguardo, proprio gli occhi, solo quelli. L’istante prima dell’impatto, del volontario, lucido, deliberato impatto suicida. Secondo me erano assolutamente banali i tuoi occhi. Come quando si fa qualcosa che si aspetta da tempo e la si prepara, quietamente, con meticolosità. Io credo che hai guardato quel palo, contro il quale sarebbe finita la tua vita e non mi hai pensato. Neppure per un attimo ti è venuto in mente che avremmo sbattuto in due, uno solo con la possibilità di camminare ancora. 
Non hai considerato che camminare è una questione difficile perché devi mettere una gamba davanti all’altra, fare oscillare le braccia, tenere la testa ben dritta in avanti, le spalle non ricurve, il collo oscillante ma solo di poco e intanto bisogna respirare, gonfiare il petto per il tempo giusto a non riempirsi esageratamente i polmoni – gli eccessi fanno sempre male- e poi buttare fuori, senza fretta ma neppure troppo lentamente, come se fosse tutto naturale, come se fare entrare e uscire l’aria da se stessi fosse un meccanismo automatico e rodato da millenni di tentativi, come se venisse spontaneo, anche quando dormi, anche quando pensi, i pensieri che ti occupano la mente e non riesci a scacciarli o forse non vuoi scacciarli perché sono ossessivi ma ti abitano dentro e diventano come dei compagni, dei cari amici un po’ brontoloni ma imperdibili, pensieri che camminano, respirano, di vita propria.
Banali i tuoi occhi.

                           Nicola Ferrari 


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