Nicola Ferrari (Mantova), vive accanto ai bambini e alle persone in lutto.
Si occupa, riguardo l'esperienza della perdita, di formazione, ricerca e nuove metodologie di supporto (mariabianchi.it).
E' estremamente appassionato di J.S. Bach, Glenn Gould, Emily Dickinson, Vincent van Gogh.
Scrive, pubblica.


Tutto per te 


- Scusa, tu sei Nicola?
Me lo chiede così, diretto e senza fronzoli, come se fosse una domanda appena appena un po' meno che scontata, con mio cugino lì a due passi, dentro la bara chiusa. La camera funeraria è pessima: una stanza con mura sporche, pareti scorrevoli enormi, che ad un certo punto si aprono e pure un po' a fatica perché devono spostare un'altra bara e noi tutti, lì dentro, ci scostiamo volentieri; qualcuno lo fa avvicinandosi al feretro di Mario, mio cugino, qualcun altro allontanandosi da entrambi ma lo spazio è poco e non c’è scampo, non si può sfuggire.
Non so se faccio in tempo a rispondergli ma questo illustre sconosciuto, con un modo di fare così quieto e attento, vorrei subito che fosse mio amico.
- Perché sono amico di Mario da cinquant’anni e lui mi parlava spesso di te. Mi raccontava spesso di te.
Lo ripete e mi sembrava che lo facesse davvero apposta.
- Ma no, gli dico subito per fermarlo, ti sbagli, mi confondi con Stefano, quello laggiù o Paolo, erano loro i cugini più legati, senz’altro si riferiva ad uno dei due, senza dubbio non sono io.
Questa volta sono certo di avergli risposto ma non è servito a niente perché, con quel modo di fare che mi ha fatto pensare all’ottima scelta di Mario, mi ha elencato un paio di avvenimenti della mia vita che non lasciavano spazio ad equivoci. E in quel momento, mi sono accorto che Mario era morto perché non l’avevo capito prima, non mi era molto chiaro. Sì, un piccolo sentore l’avevo percepito alla fine dell’autostrada, quando stavamo per uscire ed entrare a Bologna, direzione Certosa, quando era chiaro che non potevo più raccontarmi che le persone decedute ti restano dentro, che contano i ricordi, che si può continuare ad amarle e tutte queste menate. Però poi la famigliare voce dal cellulare mi diceva come proseguire per incontrare Mario e non potevo distrarmi da chi mi indica dove devo andare.
Ho provato a difendermi ancora, a replicare, ben sapendo che era del tutto inutile: 
- Ti avrà parlato dei miei libri, dell’attività con l’associazione, di questo o di quello.
Provo a convincerlo sciorinando attività, progetti, iniziative e quant’altro mi veniva in mente ma lui mi guarda e ogni volta scuote la testa come per dirmi no, non ne so niente, non mi ha mai raccontato di quello che facevi, non è questione di ciò che hai prodotto e realizzato.
- Era molto colpito dalle tue vicissitudini affettive, da quello che vivevi e ti succedeva dentro.
E quando me lo dice piango di colpo e per la prima volta perché Mario muore ancora, e sono due, in pochissimi minuti, e per me è troppo. Muore del tutto, è morto mortissimo, come diceva mio figlio da piccolo per convincersi che proprio non c’era più niente da fare.
Mi si appanna la vista ma non abbastanza perché riesco a vedere chi mi ama che si avvicina: una mano dietro la schiena, appoggiata ma senza spingere, né una carezza né un incoraggiamento. Quella pressione che non puoi controllare perché o ce l’hai o non ce l’hai quando tocchi chi ami e vuoi dirgli: sono qui ma non posso prendere il tuo posto e anche se potessi non lo farei proprio perché ti amo.
Ma come Mario, ma non funziona che se tu tieni a qualcuno, se provi una delle numerose ma non numerosissime declinazioni dell’amore verso di lui, gli parli, ti fai sentire, mandi messaggi positivi, incontri, scrivi, fai qualcosa di pratico, alzi il culo insomma? Non è così che si vive e dimostra l’affezione cioè l’inclinazione sentimentale costante verso qualcuno (o qualcosa)? Come può essere che tu tieni a me e ti tieni tutto per te? Perché io e te Mario siamo stati cugini sinceri per una vita, cugini onesti, con qualche periodo insieme da ragazzi durante l’estate, tante cene di natale con tutte le famiglie, bei ricordi, qualche scambio, vicinanza nei momenti di altri decessi ma nulla più, nulla di memorabile e intenso e ininterrotto come hai avuto con altri giustamente a te più vicini.
- Lui era fatto così, partecipava in silenzio, a volte addirittura sembrava non interessarsi e invece poi continuava a rifletterci, a viverlo dentro se stesso.
Me lo dice perché credo mi veda molto turbato, stupito, confuso e forse vuole aiutarmi un po'. La questione però non cambia e continuo a pensarci quando siamo sulla strada del ritorno, questa volta senza nessuna voce che mi guida, e anche alla sera e pure di notte. Con le finestre aperte i grilli davvero rompono il cazzo, si sentono auto lontane che sembrano piene di gente ubriaca e strafatta per sentirsi felici però mi sveglio solo perché ho il cuscino bagnato e non è sudore.
Sono stato amato senza saperlo. E’ questo che mi sconcerta.
E ancora di più mi annebbia che Mario non abbia mai avuto il bisogno e il desiderio di farmelo sapere.
C’è stata una persona su questa terra che rimaneva di volta in volta colpita, interessata, preoccupata dalle mie vicissitudini affettive, di quei continui prendere e lasciare, cercare e respingere, dedicarsi e abbandonare che ha dominato la mia esistenza, il mio modo di amare, creare e distruggere legami. Ma se lo avessi saputo Mario, se avessi saputo quanto ti colpiva tutto questo, ma sai che gioia per me avere una persona alla quale non chiedere carezze, incoraggiamenti, analisi, consigli, esperienze? Mi avresti detto quello che tu capivi, quello che sapevi, come ti risuonava dentro, mi avresti raccontato come tutto ciò che più mi ha fatto disperare e gioire si muoveva in te. 
Senza volermi insegnare o indicare niente.
Nessuna valutazione.
Nessuna strada da percorrere.
La più spiazzante, autentica e autorevole vicinanza che si può vivere per chi si ama, non importa quale amore e quale ruolo si ha, io l’ho avuta a 100 km da casa per decine di anni e la scopro solo ora.

‘Adda passà ‘a nuttata’ non l’ho mai capita bene. Non so se è un inno alla resilienza, che sempre più trovo una mistica della sopportazione, una fiaba della buonanotte o la capacità di riscoprire le meraviglie della mattina. Sta di fatto Mario che la mattina è arrivata anche se, ancora una volta, le meraviglie scarseggiavano e rimane più che altro la sensazione che ho compreso poco.
Però che questo tuo modo di amare e prenderti cura di chi era nel tuo cuore sia un presagio di un altro amore, questo l’ho capito. Ma non mi fa stare affatto tranquillo.
Che anche altre persone, a me più care e influenti di te, possono avermi amato senza che questo si vedesse, anche questo l’ho capito. E questo è ancora meno rasserenante del precedente.
Che potrei provare ad essere così come te ma non ci riuscirò mai, questa invece è questione di invidia, non di comprensione.
Ma più di tutto, non comprendo perché questa precisa e certa consapevolezza che mi hai amato da cugino, ti sei interessato a me, hai compartecipato, hai sviluppato emozioni e pensieri man mano che vivevo gioie e disperazioni interiori, mi fa uscire lacrime controvoglia, mi fa inciampare il respiro, mi appare di notte come i grilli rompicoglioni ma senza angoscia. M’inquieta, certo, m’intristisce profondamente che non ci sei più, mi fa sentire di aver perso un’occasione irrimediabile ma il tutto, sai Mario, è come un’infiltrazione improvvisa di aria fresca dentro questa ondata di calore torrido che ci avvolge da settimane.
Mi fai sentire amato senza nessun motivo per esserlo, per il solo fatto che tu sei capace di farlo così, senza doverlo spiegare, senza che me lo meriti. E questo, cioè l’amore gratuito, è un gran casino per me sperimentarlo. Da sempre.
- E poi aveva questa capacità di sdrammatizzare, di trovare un lato divertente in tutto. Sai quante risate ci siamo fatte, quante ne abbiamo trascorse insieme e quante volte sapeva portare tutto alla sua giusta dimensione ridendo e scherzando insieme, continua a dirmi il suo amico.
- Ma aveva anche i suoi lati oscuri sai, le difficoltà che non diceva a nessuno e che ho scoperto a volte per caso, a volte perché decideva lui di dirmele quando gli pareva: pensa che pur conoscendoci da una vita mi ha detto che aveva un tumore dopo sei mesi, in casa sua dopo un anno.
Insomma, sei stato come tutti noi, dolcissimo e (da me) incompreso cugino e questo ti rende ancora più determinante ai miei occhi. Magari adesso in un qualche modo, non importa quale, sai quello che sto vivendo interiormente, conosci la mia vita intima, sei aggiornato sull’amore che attraversa le mie giornate. Se è così, allora di sicuro sei felice per me, ti rendo io un po' più felice grazie a quello che mi sta accadendo e questo mi fa sentire bene perché almeno un pochetto ti restituisco tutto quello che mi hai donato in questi anni.
Se invece non puoi vivere questo, sappi Mario, io sono entusiasta di te.
Volevo dirtelo.

                           Nicola Ferrari 


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